La relazione con l’adulto durante l’attività di psicomotricità

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In un ambiente socializzante, il bambino si apre a nuove connessioni, relazionandosi sia con i suoi pari sia con l’adulto che percepisce come guida sicura e riferimento affettuoso.

Lo psicomotricista svolge un ruolo chiave in questo percorso, alimentando un clima di fiducia, accoglienza e crescita emotiva durante il susseguirsi delle attività.

Con attenzione e dedizione, osserva e partecipa alle sessioni di gioco, rispondendo alle esigenze profonde di ogni bambino e offrendo sostegno nelle modalità più adatte al contesto e alla relazione di aiuto.

Le situazioni che si presentano sono molteplici e complesse.

Ogni interazione diventa un’occasione preziosa per favorire uno sviluppo equilibrato, aiutando il bambino a superare le difficoltà e a prevenire disagi che potrebbero limitare il suo percorso di crescita psichica e affettiva.

L’aggressività come comportamento non socializzante

Un aspetto che emerge spesso, e che sorprende per la sua apparente contraddizione, è che i bambini con comportamenti socializzanti sono talvolta anche i più aggressivi.

È un paradosso affascinante: i bambini che si impegnano maggiormente in relazioni sociali mostrano un ventaglio di comportamenti più ampio e complesso.

È come se la loro sete di interazione includesse anche l’urgenza di esprimere emozioni intense, sia positive che negative.

Un bambino moderatamente aggressivo può anche essere sorprendentemente gentile e premuroso, mentre chi manifesta un’aggressività estrema spesso si isola, faticando a esprimere empatia.

Ogni società, in modo diverso, si confronta con il problema di arginare l’aggressività.

Alcune culture, come certe tribù di Nativi Americani, allevavano i propri bambini affinché diventassero guerrieri, esaltando il coraggio e la forza, mentre altre, come gli Hopi e gli Zuni, insegnavano la pace come valore fondamentale, creando un terreno fertile per la non violenza.

Come gestire i comportamenti violenti

Il primo passo per affrontare i comportamenti aggressivi è capire cosa si cela dietro l’apparenza.

Spesso, i bambini che agiscono con violenza verso i pari o gli adulti non lo fanno per “cattiveria”, ma perché mancano di parole per esprimere le proprie emozioni o bisogni. È come se urlassero al mondo, sperando di essere ascoltati.

Molti di questi comportamenti nascono da esperienze familiari difficili o da stili educativi poco empatici.

Durante un’attività di psicomotricità, mi sono trovato di fronte a M., un bambino con un atteggiamento aggressivo che metteva alla prova sia la pazienza degli adulti sia l’accettazione dei compagni.

Quel giorno, i bambini partecipavano a un gioco di squadra, con materiali che favorivano la relazione.

Quando M. ha manifestato il suo comportamento aggressivo, ho cercato subito di stabilire dei limiti con amorevole fermezza.

Gli ho concesso il tempo necessario per calmarsi, standogli vicino con empatia, aiutandolo a mettere in parole quell’emozione e quel bisogno che lo avevano spinto a reagire così.

In quel momento, M. ha iniziato a capire che non era solo e che c’erano modi diversi per esprimere ciò che sentiva.


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